martedì 20 gennaio 2015

L'ANTICO REGNO (2575-2134 a.C.)

Mènes o Nàmer, oltre che unificatore del regno, è anche il costruttore di una nuova grande città all'inizio del Delta, che i greci chiamano Menfi. Il nome egizio era Mennofrè ('la città di Mènes') o anche (dal suo santuario maggiore) Hut-Ka-Pta, 'dimora del Ka' (il 'doppio' della persona, che ne assicurava la sopravvivenza dopo la morte) 'di Pta' (il demiurgo, 'plasmatore della terra'). La parola greca Àigyptos, da cui il latino Aegyptus e l'italiano 'Egitto', non è che l'adattamento fonetico approssimativo del toponimo della città. Dalla III alla VI dinastia (2650-2150) Menfi è la nuova capitale. Da questo momento ha inizio il primo periodo dinastico chiamato Antico Regno.

LA PIRAMIDE DI SAQQUÀRA
Della grandezza di Menfi, uno dei più importanti centri dell'Egitto, oggi non restano che macerie. Ma a Saqquàra, la vicina necròpoli, la più vasta di tutto il paese, sorge la prima grande piramide in pietra [Fig. 27]. La piramide fu fatta costruire come sepolcro, per sé e per la sua famiglia, da Zòser, fondatore della III dinastia.

27. La piramide di Zòser; III dinastia; 2630-2611 a.C.; base m 121x109; alt. originaria m 60c.; alt. attuale m 58,8. Necròpoli di Saqquàra. 
Il progetto iniziale prevedeva una mastaba quadrata con i lati di m 63 e altezza di m 8. Si aggiunse poi un rivestimento dello spessore di m 4. Con ulteriori interventi si raggiunse infine la forma attuale a gradoni. Il sistema di costruzione è differenziato a seconda dei vari momenti. L'edificio è costituito da blocchi di calcare siliceo legati con malta, mentre il rivestimento era in pietra calcarea con uno spessore di m 1,6-2,5.
È attraverso la necròpoli che, principalmente, si può comprendere la mentalità, la cultura, la religiosità dell'antico Egitto, analogamente a quanto accadrà anche nella civiltà etrusca. Come per gli etruschi, anche per gli egizi la tomba è il luogo dove prosegue eternamente la vita di colui che vi è stato deposto. La sua mummia  e le sue statue garantivano al Ka la sopravvivenza. Il Ka, il 'doppio' del defunto, entrava e usciva da una falsa porta [Fig. 28], dove riceveva le offerte fresche recate sulla soglia per permettere il proprio sostentamento. Di qui la cura posta nella costruzione e nell'ornamentazione delle tombe, quelle reali in modo particolare.

28. Falsa porta con la statua del defunto e, in primo piano, la tavola delle offerte; V dinastia; 2465-2323 a.C. Necròpoli di Saqquàra, Mastaba di Ty. 
Esse si trovavano, tranne l'eccezione del periodo amarniano, sulla riva occidentale del Nilo, là dove si spegne la luce del sole, come si spegne la nostra vita, mentre la città dei vivi si trovava sulla riva orientale, dove rinasce ogni mattina il sole, come l'uomo che si rigenera perennemente di padre in figlio. La piramide di Zòser è la trasformazione delle più antiche tombe, a forma di parallelepipedo di mattoni con le pareti inclinate verso l'interno e la copertura piatta, dette comunemente mastabe, dall'analoga parola ('banco') con cui vennero designate dagli arabi. Al mattone qui si sostituisce la pietra [Figg. 29 e 30]. A una prima mastaba, alta soltanto 8 metri, se ne sovrapposero e se ne affiancarono altre fino a raggiungere i 60 metri di altezza. Ne è derivata un'imponente costruzione a gradoni, analoga alla zìggurat mesopotamica, antenata di tutte le piramidi successive.

29. Mastaba, disegno ricostruttivo, da Enciclopedia Treccani.
Approssimativamente al centro della costruzione, in un grande pozzo profondo 28 metri e largo 7, era il sepolcro reale. 

30. Schema delle successive fasi costruttive della piramide di Zòser, da Enciclopedia Treccani.
Sullo zoccolo di una statua di Zòser e all'interno della cinta muraria della piramide, vicino al colonnato di ingresso, è stato scoperto il nome dell'architetto: Imhòtep, visìr del re (capo di tutta l'amministrazione statale), gran sacerdote e medico, il cui nome, talmente famoso da essere divinizzato dai greci ed assimilato a quello di Esculapio, era già noto attraverso le memorie di Manetone che lo definisce 'inventore dell'arte di costruire la pietra tagliata'. La piramide si colloca all'interno del complesso funerario reale [Fig. 31], del quale esistono ancora notevoli resti: per esempio alcune colonne scanalate (Casa del sud, Tempio a tre colonne) [Fig. 32] che preannunciano quelle doriche - ma ben diverse nei rapporti proporzionali -; altre colonne a fascio [Fig. 33] (colonnati d'ingresso e Sala delle colonne), rastremate verso l'alto come fossero fasci di canne; il muro di cinta [Fig. 34].

31. Complesso funerario del re Zòser, da Enciclopedia Treccani.
32. Portale della 'Casa del sud'; III dinastia; 2630-2611 a.C. Necròpoli di Saqquàra, Complesso funerario del re Zòser. 
Le colonne, di cui questo è solo un esempio, raggiungevano originariamente l'altezza di m 12, mentre oggi non vanno oltre i m 3.
33. Sala delle colonne; III dinastia; 2630-2611 a.C. Necròpoli di Saqquàra, Complesso funerario del re Zòser. 
La Sala delle colonne si trova al termine del corridoio di accesso, a sua volta fiancheggiato da 40 colonne. Quelle della sala sono alte m 5 e sono unite a coppie da pilastri. Il diametro di base è di m 1, quello al vertice è di m 0,70.
34. Muro di cinta; III dinastia; 2630-2611 a.C. Necròpoli di Saqquàra, Complesso funerario del re Zòser. 
Il muro di cinta dell'intero complesso funerario (m 544x277), alto circa 10 metri, è costituito da un paramento di pietra calcarea a grana fine, mosso da sporgenze e rientranze e da alte lesene. In esso si inseriscono 14 false porte in pietra. Tutto è stato molto restaurato.
Nel serdab, una specie di camera chiusa, era la statua di Zòser, che, attraverso due fori praticati nella parete, poteva vedere la stella polare e le costellazioni intramontabili, meta del suo viaggio nell'aldilà [Fig. 35]. Oggi la statua ha perduto il colore originario, ha perduto la pròtesi degli occhi in cristallo di rocca, ma conserva la sua maestà. Il sovrano è seduto sul trono in maniera indissolubile, così da costituire un'unica, solida base a parallelepipedo, dalla quale si erge il busto, rigidamente frontale, l'occhio vigile e acuto, una mano sul petto, l'altra in riposo sulle gambe: pochi volumi squadrati che rendono il senso della potenza sovrana.

35. Statua del re Zòser; III dinastia; 2630-2611 a.C.; calcare siliceo; grandezza naturale. Il Cairo, Museo Egizio. 
La statua era dipinta con le parti nude color rossiccio, usuale nelle rappresentazzioni di figure maschili. Nel museo del Cairo è conservato anche lo zoccolo di una statua di Zòser contenente il nome e i titoli dell'architetto, visìr, medico di corte, Imhòtep.











venerdì 16 gennaio 2015

IL PERIODO PROTODINASTICO O TINÌTICO (circa 300-2575 a.C.)

È approssimativamente intorno al 3000 a.C. che, dalle lotte fra i vari principi, simboleggiate nelle precedenti tavolette di ardesia, si giunge, da parte dei sovrani dell'Alto Egitto, alla sottomissione del Basso Egitto e all'unità del Regno. Ciò avviene ad opera di Nàrmer (o Mènes), che dà inizio alla I dinastia. La capitale dello Stato si trova a This (o Thìnis), per cui questo periodo, formato dalla I e II dinastia, è detto tinìtico. Gli egizi attribuivano a questo evento l'inizio della loro storia. Circa 2500 anni dopo ne davano notizia a Eròdoto: 'I sacerdoti - egli scrive - affermano che Mènes fu il primo re dell'Egitto e che costruì la prima diga a protezione della città di Menfi dalle inondazioni periodiche del Nilo'. La differenza tra il nome Nàrmer e Mènes (che si trova all'inizio di un elenco di re egizi scoperto in un tempio) può venire spiegata col fatto che i sovrani avevano cinque appellativi: i due nomi potrebbero indicare la stessa persona. 
Ancora una volta è una tavoletta per cosmetici [Fig. 26] a comunicarci i fatti e la conseguenza fondamentale dell'unione dei due regni.

26. Tavoletta del re Nàrmer; periodo predinastico e protodinastico; c. 3100-2850 a.C.; scisto; alt. cm 64; recto e verso. Il Cairo, Museo Egizio. 
Sulle facce della tavoletta, al centro, in alto, è raffigurato, in geroglifico, il nome del re; un pesce, n'r, e un martello, mr, N[a]rm[e]r. Nella mitologia egizia Hòrus (raffigurato come un falco che vede tutto volando in alto) è figlio e vendicatore del dio Osìride, ucciso dal fratello Seth (incarnazione del male) e resuscitato dalla fedele sposa, la dea Ìside, che ne raccoglie e riunifica le membra del corpo sparso in 42 parti del paese. Così, mentre in Osìride si identifica il re defunto, Hòrus simboleggia il re vittorioso sul trono. Poiché Seth era il dio-animale di Ombos, una città dell'Alto Egitto, è probabile che il mito significhi anche il trionfo della religione del Basso Egitto su tutto il Regno.
Su una faccia della tavoletta il re ha in testa la corona antica dell'Antico Egitto, con una mano afferra i capelli di un nemico inginocchiato, con l'altra alza la clava con cui lo ucciderà. Sulla destra il falco regge una testa umana e sei fusti di papiro simboleggiando che il dio Hòrus (il falco), nel quale si identifica il re, ha sconfitto gli abitanti del paese ove nasce il papiro (il Basso Egitto). Sull'altra faccia Nàrmer, con la corona a berretto del Basso Egitto, avanza accompagnato da uomini che recano insegne, mentre, sulla destra, giacciono, in doppia fila verticale, dieci nemici decapitati. Sotto, due animali fantastici, con teste leonine, intrecciano i lunghi colli di giraffa in segno di unione, l'unione conseguita dall'azione vittoriosa di Nàrmer, mentre in basso il toro (il re) atterra un nemico. 
Indipendentemente dai contenuti documentari, questa tavoletta riveste anche un'importanza fondamentale perchè fissa alcuni cànoni tipici di tutta l'arte figurativa egizia. Il re è rappresentato molto più grande rispetto a tutti gli altri, come segno distintivo della sua autorità indiscussa di dio in terra. Gli uomini, gli animali, gli oggetti sono bidimensionali; i primi, anzi, hanno il viso di profilo e il grande occhio di prospetto, il busto frontale e le gambe in visione laterale. Non è soltanto l'assenza della volumetria e della spazialità secondo l'ottica naturale. Non è cioè soltanto l'assenza della verosimiglianza, come riproduzione della realtà secondo il modo di vedere prospettico dell'uomo. La realtà, che pure è presente, è smontata e rimontata in un ordine diverso, così da darci una visione pressochè completa di tutte le componenti come siamo abituati a conoscerle. È dunque la realtà che fa parte della nostra coscienza, non quella che appare davanti ai nostri occhi. Si ottiene, con questo, un'alta idealizzazione e perciò l'espressione dei contenuti; non ciò che vedremmo su un campo di battaglia dopo una vittoria, ma il significato morale di questa: la divinità del re, l'inesorabile sconfitta dei suoi avversari.

giovedì 15 gennaio 2015

IL PERIODO ARCAICO E PREDINASTICO (dal paleolìtico al 3000 a.C. circa)

Nella valle del Nilo, si trovano figurazioni incise sulle rocce da tribù nomadi, fin dall'età paleolìtica. Sono rappresentazioni di animali (dapprima giraffe ed elefanti, successivamente ippopotami) con funzione magica, propiziatoria della caccia. L'artista-mago, l'artista-stregone, raffigurando gli animali, immobilizzandoli sulla parete rocciosa, in qualche modo li ha già catturati, secondo un metodo comune a tutte le culture preistoriche. Abbiamo poi la figurazione di imbarcazioni del Nilo, ancora una volta propiziatorie perché esse sono necessarie alla pesca. Oltre che incise, queste scene di barche o di animali si trovavano nelle pitture vascolari di El-Amra e di Naquada.
I vasi di ceramica [Fig. 23], decorati con tecnica già evoluta, presentano incisioni con motivi geometrici, o con animali tipici del fiume, o con scene di caccia. 

23. Vaso decorato; periodo predinastico, cultura di Naqada I; 4000-3500 a.C.; ceramica rossa con figure bianche; alt. cm 25,5. Oxford, Ashmolean Museum.
La ceramica è nera o rossa, o rossa e nera, o anche color naturale con le figure dipinte in rosso, o rossa con le figure dipinte in bianco. Gli strumenti sono di selce.
Nel periodo predinastico si cominciano a trovare anche le tavolette di ardesia, che servivano per impastarvi sopra i cosmetici, atti al trucco degli egizi, che hanno sempre dimostrato un'abilità tutta particolare nell'arte dell'abbellimento della loro persona. Sono sagomate a forma di pesce o di lunetta [Figg. 24 e 25], quasi come le tavolozze dei pittori, e recano talvolta figurazioni complesse con probabile significato simbolico o magico.

24. Tavoletta per cosmetici; periodo predinastico; ardesia. Parigi, Museo del Louvre.
25. Tavoletta per cosmetici; periodo predinastico; scisto; larghezza cm 30. Londra, British Museum.
Queste figurazioni sono importanti perché presentano già alcune caratteristiche che saranno costanti in tutta l'arte egizia, sia per i contenuti, sia per lo stile. Dal punto di vista tematico, troviamo uomini abbattuti da animali (simboli di lotte vittoriose); dal punto di vista stilistico cominciano le rappresentazioni bidimensionali, con l'occhio di prospetto sull'immagine laterale del volto, l'armonica distribuzione delle parti collocate in rapporto reciproco, le proporzioni simboliche.

mercoledì 14 gennaio 2015

L'EGITTO

'L'Egitto è un dono del Nilo'. Con questa frase lapidaria e famosa, Eròdoto (c. 480-c. 425 a.C.), lo storico greco che, verso la metà del V secolo a.C., visitò la regione restandone profondamente impressionato, definiva una realtà ancora oggi attuale. Il Nilo, infatti, il grande fiume africano che, per circa 6500 chilometri si snoda dai grandi laghi del Mediterraneo, e che, nel suo ultimo tratto, percorre il territorio egiziano, lo ha, da sempre, fecondato con le sue piene estive e con il limo depositato nelle terre inondate. È una sottile striscia verde, fertile, lunga, dal confine nubiano al mare, circa 1500 chilometri, larga appena 10 o 15. Ai suoi lati, con una cesura improvvisa, è il deserto color ocra: a sud, il Sahara; a nord di Assuàn i deserti sassosi, rocciosi e rossastri, orientale o Arabico alla destra del fiume, occidentale o Lìbico alla sua sinistra. 'Salve o Nilo, limpido fiume che dài la vita a tutto l'Egitto', così, quasi anticipando le parole di Eròdoto, è scritto nell'Inno del Nilo, riportato in un antico testo della XIX dinastia (1307-1196 a.C.).
Queste condizioni climatiche, favorevoli, pur con alcune conseguenze negative causate dalle periodiche inondazioni, hanno indotto, fin dai tempi più antichi, le popolazioni a insediarsi lungo il corso del Nilo. La civiltà nilòica ha pertanto una durata che va, per quanto consta alle nostre conoscenze, dal 4500 a.C. in poi.
Il periodo storico, ossia il periodo che può essere oggetto di studio sistematico, ha inizio con l'unificazione, sotto un solo re, delle due zone fondamentali della regione, quella settentrionale intorno al delta del Nilo, detta Basso Egitto, e quella meridionale lungo le sponde del fiume, detta Alto Egitto. Da questo momento, seguendo la partizione data nel III secolo a.C. dal sacerdote e storico egizio Manetone, si usa dividere la storia dell'Egitto in alcuni grandi periodi (Antico Regno, Medio Regno, Nuovo Regno, Età Tarda), all'interno dei quali si collocano le trenta dinastie sovrane che, con alterne vicende, hanno segnato l'intera regione. Mentre il primo periodo è preceduto da un momento detto predinastico, il passaggio fra l'uno e l'altro dei Regni è contraddistinto da fasi intermedie e l'ultimo è seguito dall'età greca della XXXI dinastia (la tolemaica) e da quella romana (successiva alla vittoria di Ottaviano ad Azio contro Marco Antonio e Cleopatra, nel 31 a.C., e alla definitiva annessione all'impero romano). Si tratta di un arco di tempo lunghissimo (30 o 40 secoli di storia), quale nessun'altra civiltà finora ha raggiunto. In questo ampio periodo, accanto alle normali forme di vita e di organizzazione religiosa, civile e bellica, accanto agli studi di astronomia, di matematica, di scienza in generale, fioriscono le arti visive. Di seguito l'elenco delle dinastie sovrane dell'antico Egitto, a scopo puramente illustrativo.

Mentre nell'arte occidentale, e anche nelle sue radici greche, assistiamo a notevoli mutamenti stilistici che ci permettono di datare i vari manufatti con relativa facilità, l'arte egiziana appare immobile, fondata su alcuni cànoni immutabili e perciò sempre simile a sé stessa. Lo avevano notato già Eròdoto e Platone, ossia due grandi esponenti della cultura greca: lo ripetono, non a caso in età neoclassica, quando si propugna il ritorno all'arte greca, i teorici Johann Winckelmann e Francesco Milizia (secolo XVIII). Il primo afferma che l'arte egizia è come 'una grande pianura deserta, che si può dominare dell'alto di una o due alte torri'; il secondo sostiene che 'agli Egizi era vietato mutare lo stile dei propri antenati'. Questa constatazione può generare il dubbio se esista una storia dell'arte o addirittura un'arte egizia o se non si tratti piuttosto di una stereotipa ripetizione di formule preordinate.
Per capire le ragioni che hanno determinato un simile fenomeno, è necessario impostare il problema storicamente. I mutamenti dell'arte occidentale sono la conseguenza di situazioni storiche, filosofiche, ideologiche che si sono succedute rapidamente, mentre l'immutabilità dell'arte egizia è causata dalla continuità del potere politico, accentrato nel re, e dall'identificazione di questi con la divinità. Ciò che discende dalla divinità è eterno e quindi immutabile; l'arte, che è il simbolo della divinità, dovrà esprimere la coninuità al di là delle contingenze terrene, la grandezza, l'eterno. Va anche tenuto presente che noi conosciamo solo l'arte congiunta ai grandi templi e alle costruzioni tombali dei sovrani o degli alti funzionari dello Stato. Gli uni e le altre tendono necessariamente a quell'eterno cui facevamo cenno. Bisogna aggiungere tuttavia che, pur nella sostanziale fissità storica, estistono alcuni fenomeni evolutivi e che, nelle tombe stesse, all'assoluto idealismo e simbolismo di quelle regali si contrappone un maggior realismo (o forse è meglio dire una maggior vivezza) in quelle dei funzionari.
Certo l'arte dell'antico Egitto ha scopi ben diversi da quella occidentale. Questa è fatta dall'uomo per l'uomo. Comunica le idee con il linguaggio visivo, più facile a essere assimilato. Può illustrare fatti storici, può insegnare verità morali o religiose, può farsi propagatrice di idee politiche. In ogni caso ha bisogno di altri uomini, cui deve trasmettere un messaggio. L'arte egizia ri rivolge soltanto al dio. Nel tempio non entra il popolo; entrano i sacerdoti; nel Sancta Sanctorum, la cella più interna del tempio, dove è esposto il simulacro della divinità, accedono unicamente il re e il gran sacerdote. Neppure nelle tombe, una volta deposta la mummia e sigillata la porta, si può più penetrare.
Tutto ciò rende particolarmente difficile comprendere l'arte dell'antico Egitto, malgrado la spettacolarità di essa e la sua conseguente popolarità a livello turistico. Occorre studiarla nel contesto storico, politico e religioso (o magico-religioso) che l'ha prodotta. Il problema religioso è apparentemente molto complesso. Gli dèi sono numerosi e variano da zona a zona, anche in relazione alle diverse epoche. Tuttavia, forse, essi non sono altro chei differenti aspetti della stessa divinità. Non potendo comunque in questa sede addentrarci nell'esame delle loro caratteristiche, ne parleremo via via che se ne presenterà l'occasione in relazione alle opere visive. Tanto più che - una volta stabilita la costanza della tematica religiosa e politico-religiosa - ciò che interessa principalmente, nel nostro campo, è vedere se, e fino a che punto, al di là dei significati simbolici e propiziatori, i contenuti, determinati dal particolare momento culturale, divengono arte attraverso l'adeguatezza ad essi del linguaggio.

II. L'antico Egitto.

MESOLÌTICO E NEOLÌTICO

L'età che segue il pleistocene, detta 'olocene' (dal greco hòlos, "tutto", "completo", e kainòs, "recente" o "attuale") è l'ultima del 'quaternario', durante il quale vive l'homo sapiens sapiens. Al lungo periodo di nomadismo segue una nuova era di stabilità, dovuta forse anche all'addolcimento del clima: l'uomo si è reso conto della possibilità di addomesticare gli animali e di farli riprodurre in cattività e ha scoperto l'agricoltura, così da assicurarsi il cibo futuro, oltre a quello presente. Con il mesolìtico e il neolìtico, viene perciò a cessare la funzione propiziatoria dell'immagine della preda. Ad essa si sostituiscono gradualmente figure schematiche. Non più arte naturalistica e magica, dunque, ma soltanto simbolica, nel tentativo di rendere attraverso la semplificazione dei segni, l'idea di uomini e animali. Al tempo stesso si comincia a modellare la morbida argilla umida, decorandola con disegni astratti, solidificandola mediante la cottura in forno e creando così i contenitori necessari all'uso domestico. Accanto a vasi realizzati nell'Europa meridionale, sono eleganti in modo particolare alcuni della penisola scandinava, per la perfetta coincidenza fra la forma dell'oggetto e la trama decorativa [Fig. 13].

13. Vaso decorato; neolìtico; terracotta. Copenaghen, Museo Nazionale. 
La coincidenza fra forma dell'oggetto e trama decorativa in questo vaso, uno dei più belli della terracotta preistorica nel nord-Europa, è ottenuta mediante le fasce incise e aternate che accompagnano in verticale l'espandersi del recipiente verso l'alto, suddividendolo in settori, e mediante il reticolato che ne abbraccia in orizzontale il collo, con rettangoli corrispondenti ai settori sottostanti.
È soprattutto con l'età in cui all'uso della pietra si aggiunge quello del bronzo, detta 'eneolìtica' (dal latino aenèus, "bronzo", e dal greco lithikòs derivato da lìthos, "pietra"), che le pitture rupestri divengono sempre più schematiche e allusive, sempre più concettuali: non dunque infantili, come può sembrare, ma piuttosto dettate dalla ragione per essere comprese da un'altra ragione. È ciò che accade, per esempio, sulle pareti del Monte Bego (nelle Alpi Marittime) e in Val Camonica [Fig. 14].

14. Figura umana, il mago; incisione rupestre. Monte Bego, Alpi Marittime (Francia). 
Fino ad alcuni decenni fa il Monte Bego si trovava in territorio italiano. In seguito all'ultima guerra mondiale è stato ceduto alla Francia. La figura è stata eseguita usando la 'martellina'.
Sul Bego si trovano più di 40.000 incisioni che, oltre ad armi, rappresentano strumenti e animali della civiltà agricola (utensili vari, aratri, bovidi) lungo un periodo che va dall'eneolitico all'età del ferro. Anche in Val Camonica (la maggiore delle valli bresciane, percorsa dall'Oglio) si trovano innumerevoli figure (circa 200.000), composte in un arco di tempo di 8.000 anni (fino all'età del ferro, intorno al 1000 a.C.), spesso sovrapposte, ma per lo più collocate l'una in relazione all'altra [Fig. 15], come seguendo il filo logico di una storia, di un rito religioso, di scene di caccia e di lotta, quasi, per spiegarsi più chiaramente con un'analogia, come se fossero parole unite insieme per costruire un discorso. Questo può giustificare gli schematismi razionali cui abbiamo fatto cenno: ogni immagine è come un 'ideogramma', un simbolo grafico che rappresenta l'idea dell'oggetto, non l'oggetto stesso.
 
15. Carro; antica età del ferro; incisione rupestre. Val Camònica (Brescia), roccia di Naquane. 
Il carro, trainato da due cavalli, è sovrapposto a figurazioni più antiche. È interessante notare che la rappresentazione scompone la realtà per coglierne gli aspetti essenziali: le ruote sono viste in piano, il carro dall'alto e i cavalli di profilo. Le figure sono state eseguite con la 'martellina'.
 In questo lungo periodo si sono avuti cambiamenti di concezione e di stile che sarebbe troppo lungo elencare. Basterà averne visto qualche esempio rendendosi anche conto della tecnica usata: oltre che col graffito, la maggioranza delle incisioni sono state eseguite con la 'martellina', determinando quell'effetto di rilievo continuamente punteggiato che conferisce tanta vivezza alle immagini [Fig. 16].

16. Caccia ai cervi; antica età del ferro; incisione rupestre. Val Camònica (Brescia), roccia di Naquane. 
Nella scena è rappresentato un uomo che, con una lunga lancia, dà la caccia a un branco di cervi.
A questa età più tarda appartengono anche le costruzioni megalitiche che si trovano un po' ovunque nell'Europa occidentale, costituite da grandi blocchi di pietra (detti 'megaliti', dal greco mègas, "grande" e lìthos, "pietra"). Ad esse si danno i nomi di menhir, dolmen e cromlech. I menhir (dal bretone men, "pietra", e hir, "lunga") sono costituiti da un unico blocco [Fig. 17] infitto verticalmente in terra, con scopo funerario, come steli, come segni cioè indicativi del luogo tombale, ricordo visibile di chi vi è stato sepolto: talvolta infatti (nella Francia meridionale e in Corsica) possono avere anche volto umano, con riferimento terreno di chi non è più.

17. Menhir; neolìtico; c. 2500 a.C. Carnac (Bretagna, dipartimento di Morbihan, Francia). 
La zona di Carnac, sulla costa meridionale della Bretagna (Francia), è forse la più ricca di monumenti megalitici, innalzati da tribù bretoni. I menhir, allineati su varie file parallele, formanti una lunga catena discontinua di circa 4 chilometri, raggiungono il numero di 2935.
Sono particolarmente diffusi nelle isole britanniche e in Francia, ma esistono anche in altri paesi mediterranei: in Italia si trovano in Sardegna e in Puglia. I dolmen (dal bretone dol, "tavola", e men, "pietra") consistono in due o più pietre verticali sormontate da una grossa lastra grezza [Fig. 18]. Possono essere sepolcri collettivi o anche, secondo alcuni studiosi, luoghi sacri. Si trovano in molte regioni d'Europa, del Nord-Africa, del vicino e medio Oriente: fra i più noti quelli della Bretagna (Francia nord-occidentale), della Sardegna e della Puglia.

18. Dolmen; neolìtico. Bisceglie (Bari). 
Il dolmen, uno dei maggiori conosciuti, si trova in località Chianca a 17 chilometri di distanza dalla cittadina pugliese di Bisceglie.
I cromlech (dal bretone crom, "rotondo", e lech, "pietra") sono costruzioni circolari [Fig. 19] formate da pietre infitte  verticalmente, diffuse in molti paesi dell'Europa occidentale e dell'Africa settentrionale. Si ritengono luoghi religiosi legati al culto del sole. Mentre nell'ambiente paleolìtico non sembra che vi fossero rappresentazioni di astri o comunque un interesse per le eventuali influenze delle stelle sulla vita umana, più tardi, acquisita una coscienza religiosa, si cominciano a trovare raffigurazioni di schemi solari o stellari, formati da un cerchio, contornato da raggi, talvolta racchiusi da un altro cerchio. Il sole appare fin da questo momento elemento determinante, regolatore dei cicli del giorno e della notte e di quelli stagionali, creatore della vita. Probabilmente la forma dei cromlech esprime il simbolo del sole. Fra i più famosi è quello di Stonehenge in Gran Bretagna, nella pianura di Salisbury. Cosrtuito e ricostruito più volte fra il 2200 e il 1300 circa a.C., è formato da due cerchi concentrici di enormi pietre verticali, collegate a due a due da blocchi sovrapposti orizzontalmente con al centro una pietra-altare. Il cromlech di Stonehenge, pur essendo ormai un rudere, conserva una eccezionale grandiosità, che suscita, ancora oggi, un senso di maestà religiosa.

19. Cromlech; circa 2200-1300 a.C.; veduta dell'insieme come appare oggi; vedyta aerea; pianta. Stonehenge (Wiltshire, Gran Bretagna). 
La veduta dell'insieme dà un'idea della grandiosità di ciò che resta ancora. La foto aerea mostra con chiareza, oltre al cerchio interno, anche la posizione di quello esterno, e l'importanza, probabilmente simbolica, delle ombre portate in relazione alle varie posizioni del sole. La pianta chiarisce meglio la disposizione delle pietre restanti e di quelle esistenti precedentemente, dovuta alle successive ristrutturazioni del monumento.
Fra i monumenti megalìtici italiani, sono importanti, in Sardegna, i 'nuràghi' [Fig. 20] (dal tema antico-sardo nurra, "mucchio di sassi" o anche "cavità", con il suffisso sardo "aghe"), case fortezze delle popolazioni indigene; sono circa 7000 in tutta l'isola. A forma tronco-conica, sono formati da filari concentrici di grossi blocchi di pietra, che vanno dirigendosi verso l'alto, fino a formare una pseudocupola, sopra l'unico vano centrale, cui si accede da una porta esterna architravata e da un corridoio. In periodi più tardi, tuttavia, la pianta si fa più complessa. La tecnica edilizia è 'a secco': le pietre, tagliate nelle rocce locali, sono sovrapposte senza malta. Dai nuràghi si trae un senso di forza, espressione della vita di un'antica civiltà pastorale, divisa in piccole entità politiche (come la pòlis greca) spesso in lotta tra loro.

20. Nuràghe su Nuraxi e villaggio nuragico; XIII secolo a.C. Barùmini (Cagliari). 
Insieme al nuràghe di Sant'Antine (Torralba, Sassari), questo è uno dei monumenti nuragici più importanti. Èuna fortezza grandiosa con torre centrale (XIII-IX secolo a.C.), un bastione con quattro torri angolari (IX-VIII secolo a.C.) e un complesso sistema di torri e muri (VIII-VI secolo a.C.). Sul lato orientale della fortezza sorse, dall'VIII secolo in poi, un villaggio nuragico formato da una cinquantina di edifici, di cui sono ancora visibili i basamenti.
Alla civiltà nuragica si devono anche varie statuette bronzee di guerrieri e di sacerdotesse [Fig. 21] che confermano, con la schematicità della struttura, con la rigidezza delle linee, con la fermezza dell'impianto, il carattere di forza che abbiamo riscontrato nei nuràghi.

21. Statuetta di guerriero; età del bronzo. Roma, Museo Pigorini. 
Il capo ornato da un elmo ornato di corna (simbolo della forza presso varie popolazioni antiche, come i Galli), reggendo con la sinistra lo scudo rivestito di pelle, il guerriero, con la destra, sta estraendo uno dei pugnali che venivano tenuti infissi all'interno dello scudo stesso. È quindi còlto nel momento in cui si accinge a combattere contro il nemico.
Caratteristiche edilizie analoghe a quelle dei nuràghi si ritrovano nei trulli (dal greco troùllos, "cupola") pugliesi. Gli esemplari che conosciamo risalgono solo a 2-4 secoli fa [Fig. 22]. Ma certamente essi, che oggi punteggiano le campagne della Murgia con la loro tipica forma e con il colore bianco del corpo cilindrico a contrasto con il colore scuro della cupola, hanno origine antichissima, anche se non sappiamo esattamente a quale età possano risalire.

22. Trulli; veduta esterna, particolare della volta interna e schema della tecnica costruttiva. Alberobello (Bari).
Con l'età del bronzo, in alcune regioni, siamo giunti al termine della preistoria. Ma già da qualche millennio esistono le prime grandi civiltà preistoriche o storiche nell'area del Mediterraneo orientale, prime fra tutte quella egizia e mesopotamica.

venerdì 9 gennaio 2015

PALEOLÌTICO SUPERIORE

Se è vero che l'arte è sempre in relazione stretta con l'ambiente entro il quale è stata creata, questo è ancora più evidente per i periodi così antichi nei quali il clima aveva particolari e inevitabili conseguenze. Circa 40.000 anni fa, all'inizio del paleolìtico superiore, l'Europa settentrionale era ricoperta dalla zona glaciale. Il vento gelido creava un clima artico, impedendo la vita. Probabilmente il Massiccio Centrale, in Francia, frenava parzialmente l'avanzata glaciale da est, formando a ovest una zona relativamente temperata e consentendo condizioni di vita più accettabili per l'uomo e la fauna nella Francia sud-occidentale e nella penisola iberica. Ciò doveva accadere anche nella penisola italiana, protetta dalle Alpi.
L'uomo preistorico vi trovava perciò una ricca riserva di caccia per il proprio sostentamento. Si deve a questo il primo sorgere della pittura rupestre, dedicata alla rappresentazione di animali per ragioni magiche.

SCULTURE
Fra i più antichi reperti del paleolìtico superiore 'aurignaco-perigordiano' sono varie statuette che hanno per tema la donna. Essa è raffigurata nuda, con la testa e la parte inferiore delle gambe appena accennate [Fig. 1], mentre sono evidenziati il seno, il ventre e i glutei. Apparentemente potrebbero sembrare immagini eseguite da una mano inesperta, guidata da una mentalità inferiore, o, come si suol dire, 'primitiva'. Quando si esamina un'opera figurativa, però, bisogna sempre evitare di giudicarla sommariamente facendo riferimento esclusivo a una sorta di 'modello' mentale, che può essere consueto in alcune epoche, ma in altre no. Bisogna evitare quindi di considerarla ottima solo se riproduce più o meno esattamente la natura. Ogni opera umana nasce all'interno di un certo momento storico-culturale, che ha modi di pensare diversi da quelli di altri momenti. Essa deve essere giudicata pertando sforzandosi di inserirla entro il proprio contesto.
1. Venere di Savignano; aurignaco- perigordiano; roccia serpentina; alt. cm. 22. Roma, Museo Pigorini 
La notissima statuetta, ricavata probabilmente da un ciottolo del fiume Panàro, venne rinvenuta nel 1925 in località Pramartino nei pressi di Sagignano sul Panùro in provincia di Modena.


Nel caso specifico di queste 'Veneri' (come sono state definite) l'accentuazione degli attributi femminili più appariscenti non può avere che un significato simbolico e magico. Simbolicamente è l'esaltazione della donna come madre, come creatrice di un nuovo essere umano destinato a perpetuare la specie; è l'esaltazione stupefatta del grande mistero della nascita e della sua importanza per il mondo. Magicamente la raffigurazione della donna in stato interessante deriva dalla credenza che ciò che è rappresentato in immagine sia destinato ad avverarsi, nel bene e nel male; è un auspicio per la realizzazione del proprio desiderio.
Questo spiega perché la testa e la parte inferiore delle gambe, che non hanno relazione apparente con la procreazione, vengono solo accennate. Per lo più i corpi sono allungati e rastremati in alto e in basso, così da dare alla figura una forma affusolata; in qualche altro caso, invece, come nella cosiddetta 'Venere di Willendrof' [Fig. 2], la testa è quasi nascosta dal grande casco di capelli ricciuti.

2. Venere di Willendorf; aurignaco-perigordiano; pietra. Vienna, Naturisches Museum, Sezione Preistorica.
La statuetta è detta di Willendorf, perché proviene dall'omonima stazione dell'Austria inferiore a circa 20 km da Krems. Meno affusolata di quella di Savignano, anch'essa mostra, in modo forse ancor più evidente, i segni della maternità. Queste immagini sono comunemente dette 'Veneri' rappresentando non una donna particolare ma 'la donna' come ideale, similmente - fatte le debite differenze ideologiche e stlistiche - a ciò che avverrà nella statuaria greca quando l'ideale femminile impersonato da Venere (la dea della bellezza e dell'amore), sarà cercato attraverso un cànone proporzionale attentamente studiato.
Entro questa concezione, superati i pregiudizi di imitazione scrupolosa dal vero, possiamo constatare come già esista un criterio estetico che fa appartenere queste opere, al di là della loro funzione magico-simbolica, alla sfera dell'arte, sia pure in una accezione molto distante da quella cui la tradizione occidentale posteriore ci ha abituati: si osservi, per esempio, nella visione laterale di una statuetta [Fig. 3], come siano reciprocamente proporzionate le due parti di massima sporgenza tondeggiante (ventre e glutei), l'una più alta, l'altra più bassa, in posizione lievemente obliqua, in modo da costituire un'unica linea trasversale discendente, rispetto alla verticale del corpo; così come esiste una linea ideale che collega le sporgenze anteriori (ventre, seno, testa) fino a giungere al vertice appuntito, in relazione alla rastremazione opposta, che va dal ventre e dai glutei fino all'angolo acuto appena stondato dell'estremità inferiore.

3. Statuetta femminile; aurignaco-perigordiano; steatite. Saint-Germain-en-Laye (Seine et Oise, Francia), Muséè des Antiquités Nationales.
La statuetta proviene dalla grotta del 'Balzi rossiì nei pressi di Ventimiglia in località Grimaldi. Nella parete rocciosa, che scende a picco sul mare, si aprono verie grotte abitate nell'età paleolìtica. Queste 'Veneri' sono spesso dette anche 'steatopigie' per lo sviluppo adiposo dei glutei (dal greco stèato, tema di casi oblicui e stèar stèatos, "grasso", e pygé, "natica").
Oltre alle rappresentazioni della donna (rare invece le figure maschili), le più frequenti sono quelle degli animali per propiziarne magicamente la cattura. La vita dell'uomo preistorico, infatti, è difficile. Il suo sostentamento è dato quasi esclusivamente alla caccia, che lo costringe a continui spostamenti per seguire la selvaggina.
Il suo armamentario è complesso. Dall'amìgdala scheggiata [Fig. 4] del paleolìtco inferiore si è ormai passati, sempre usando la pietra, a un vero e proprio coltello che, allungato e fissato all'estremità di un'asta di legno, costituisce una freccia (o addirittura una lancia), che può essere scagliata violentemente con la mano o mediante un propulsore a uncino.

4. Amìgdala; paleolitico inferiore, acheuleano superiore; selce. Abbeville (Francia) Muséè Boucher de Perthes.
L'amìgdala è un'arma a forma di mandorla (dal greco amygdàle, "mandorla") usata in età preistorica. Questa appartiene al paleolitico inferiore, nel periodo detto 'acheulano' (dalla località di Saint-Acheul in Francia), corrispondente al secondo momento della tecnica della pietra, scheggiata in maniera più accurata che nel periodo precedente (sempre al paleolìtico inferiore), detto 'abbevilliano' (dalla località di Abbeville in Francia).

Questi propulsori venivano ornati, soprattutto nel periodo 'maddaleniano', sfruttando spesso la forma naturale del materiale usato (per lo più corno di renna) e dando loro l'aspetto di un animale: per esempio uno stambecco, la testa di un cavallo, un bisonte. Anche nell'esecuzione di questi strumenti si rivela un'intelligenza ordinatrice, che, pur prendendo spunto dall'aspetto naturale, lo manipola fino a ottenere una nuova forma, spesso elegante. Si veda, per esempio, con quela ricercatezza, approfittando delle divergenze connaturate al corno di renna, l'ignoto artefice ne abbia ricavato [Fig. 5]m accanto alla testa di cavallo più evidente, altre due teste equine. 

5. Testa di cavallo; maddaleniano; corno di renna; cm 16,3. Saint-Germain-en-Laye (Seine et Oise, Francia), Muséè des Antiquités Nationales.
È un frammento di propulsore. Le altre due teste sono visibili ruotando a destra e a sinistra; in tal caso esse compaiono la prima nella parte superiore, la seconda su quella inferiore.
Oppure si osservi come abbia ottenuto la torsione della testa di un bisonte, conferendo, alla zona più alta e massiccia del corpo, una straordinaria raffinatezza [Fig. 6] mediante le molteplici linee incise che indicano il pelame (ora più lungo, ora più corto) e creando al tempo stesso un morbido movimento chiaroscurale e una vividezza naturale. E dicendo naturale si intende non tanto la riproduzione pedissequa della bestia, ma l'interpretazione di essa.

6. Bisonte; maddaleniano; corno di renna; lungh. cm 10,2. Saint-Germain-en-Laye (Seine et Oise, Francia), Musée des Antiquités Nationales.
Proviene dalla grotta della Madaleine (a Tursac, in Dorgogna, Francia), questo piccolo frammento di propulsore mostra un bisonte con le corna ritorte in avanti, come si usava rappresentarlo nel paleolìtico superiore.
È anche il caso di un'opera scoperta in un periodo relativamente recente: il toro inciso su una roccia, nel 'Riparo del Romito', presso Papasìdero, un piccolo paese della Calabria. L'incisione di questo toro determina una netta linea di contorno, che individua con chiarezza, con forza, gli elementi fondamentali dell'animale [Fig. 7]. Alcuni tratti aggiuntivi dettagliano altre parti del corpo. Con pochi segni si riesce perciò  a rendere il senso della poderosa massa taurina che, anche se rappresenta planetricamente, pare quasi suggerire l'idea del volume.

7. Toro; circa X millennio a.C.; incisione su roccia; lungh. m 1,20 c. Riparo del Romito, Papasìdero (Cosenza).
Con il termine 'riparo' si indica una sporgenza rocciosa, che protegge un luogo scelto dall'uomo preistorico per proprio insediamento. Individuato nel 1961, il Riparo del Romito dà accesso a una grotta in cui sono stati rinvenuti vari oggetti e ossa di animali. Sotto la figura del toro è visibile un altro bovide più piccolo. L'uno e l'altro hanno la caratteristica forma delle corna rivolte in avanti. Le analisi effettuate con il metodo del carbonio14 fanno risalire questa figurazione a circa 12.000 anni fa.

PITTURE
Accanto a queste opere, che possiamo definire sculture, frequenti, forse ancora più, sono le pitture del paleolìtico superiore, soprattutto nella penisola iberica. Fra le più antiche pitture giunte fino a noi sono le impronte di mani. Possono essere in positivo (ottenute premendo sulla parete la mano intrisa di colore) o, più spesso, in negativo (applicando il colore intorno alla mano appoggiata, o soffiandolo con una canna) [Fig. 8]. Il significato è probabilmente simbolico: indica il possesso della caverna o degli animali, secondo una tradizione antichissima, che dà alla frase 'essere nelle mani' il valore di 'essere in possesso'. Ed è anche possibile che l'idea di dipingere l'impronta della propria mano sia stata suggerita dall'osservazione delle impronte lasciate dai piedi o dalle mani stesse sulla neve o nel fango. Tuttavia c'è un significato più profondo, che investe il problema stesso dell'origine dell'arte. L'impronta dipinta significa che l'uomo ha sempre sentito, unico fra gli esseri viventi, la necessità di lasciare in qualche modo il segno di sé stesso, una traccia, una qualsiasi documentazione della propria presenza, del proprio pensiero. L'opera d'arte nasce dal bisogno umano di esprimersi, di comunicare agli altri sé stesso in maniera duratura, organizzando i segni, dando loro un senso e passando perciò dal 'segno' al 'di-segno'.

8. Mano dipinta in negativo; aurignaco-perigordiano; c. 20.000 a.C. Grotta del Castillo (Santader, Spagna).
È quello che accade anche nella maggioranza delle pitture rupestri, che hanno, come tema dominante, la raffigurazione degli animali coevi. La scelta di questi temi è dovuta a ragioni magiche: in un'epoca in cui il sostentamento dell'uomo è basato sulla caccia, quando si rappresentano animali, s'intende propiziarne la cattura; nell'atto in cui se ne ferma l'immagine sulla parete, si cerca, magicamente, di anticipare il momento in cui essi diventeranno preda dell'uomo. Non per nulla, in alcuni casi, la bestia è rappresentata colpita da frecce, già ferita a morte [Fig. 9]. È un uso comune delle civiltà più antiche, per esempio l'Egitto. Si trova ancora presso popolazioni primitive attuali che vivono come i nostri antenati di tante migliaia di anni fa. Si dice che i pigmei, prima di muoversi per la caccia, disegnino in terra la sagoma dell'animale che intendono perseguire e poi, allo spuntar del sole, colpiscano l'immagine con frecce, nella credenza che, con quest'atto, l'animale sia destinato a subire la stessa sorte. 

9. Bisonte trafitto; c. 20.000 a.C.; pittura rupestre. Grotta di Niaux (Ariège, Francia).
La grotta di Niaux, una fra le più belle della preistoria, ricca di figure di cavalli, bisonti, cervi, dipinti in nero e rosso, si trova nella Francia sud-occidentale, nei pressi della cittadina di Foix, nei Pirenei orienali, vicino al confine con la Spagna.
Ha questo significato anche l'abitudine superstiziosa degli strati incolti di alcune popolazioni attuali (accade perfino in Italia), di trafiggere con spilli la fotografia di una persona odiata o un fantoccio di stoffa che la simboleggia, come augurio di sventura. In questo caso è la 'fattucchiera' che esegue il sinistro rituale. Così è probabile che allora (almeno inizialmente) fosse lo stregone a dipingere le immagini delle bestie sulle pareti. Nasce la figura dell'artista-mago, mago per le sue facoltà propiziatorie, mago perché riesce a creare dal nulla. Che scopo di queste figurazioni sia l'illusione di ottenere la morte dell'animale cacciato, è provato anche dal fatto che, mentre si trovano rappresentati frequentemente tori, bisonti, mammut, è raro incontrare l'immagine della renna, cosa strana in un'età della quale la renna è l'animale tipico; ciò può venire spiegato soltanto pensando alla facilità con cui essa può essere catturata e quindi all'inutilità di ricorrere a pratiche magiche, come invece si faceva per la caccia di animali ben più pericolosi. Se è innegabile che la nascita dell'arte pittorica preistorica è dovuta a un rituale ben preciso, è anche vero che quelle pitture hanno spesso una loro validità artistica, che le rende godibili in qualsiasi età. Come dicevamo per alcune sculture, il cosiddetto naturalismo di queste pitture deve essere inteso come un modo non tanto di copiare la natura, quanto di renderne evidente l'idea, quanto di renderne evidente l'idea, cosicchè essa venga riconosciuta mediante un processo mentale. Non si vuole dare l'illusione di una presenza reale, ma evocarne il concetto. L'animale è rappresentato con la semplice linea di contorno, senza (o con rari) chiaroscuri, privo di ambientazione, eppure è così vivo. È il caso, per esempio, della celebre mucca che salta al di sopra di alcuni piccoli cavalli [Fig. 10] (dipinti forse in età precedente).

10. Mucca che salta; tardo perigordiano o maddaleniano. Grotta Lascaux (Pèrigord, Dorgogna, Francia).
La grotta di Lascaux, scoperta casualmente nel 1940, detta, come quella di Altamira, la 'Cappella Sistina della preistoria', è una delle più famose grotte del mondo, sia per la bellezza e la vividezza delle immagini, dipinte in nero, rosso e ocra, sia per il loro numero.
Il senso del moto è reso mediante l'allungarsi orizzontale del corpo, il muso proteso in avanti e le zampe sollevate da terra. Oppure si veda la sintesi con cui è evidenziata la massa potente di un toro [Fig. 11].

11. Toro, particolare; tardo perigordiano o maddaleniano; lungh. dell'insieme m 3. Grotta Lascaux (Pèrigord, Dorgogna, Francia).
La caverna principale della grotta è detta 'Sala dei Tori' perché decorata tutt'intorno da figure gigantesche di questi animali (fino a 5 metri di lunghezza), in contrasto con le immagini sottostanti più piccole di bovidi colorati in rosso.
Al periodo più tardo del paleolìtico sembrano appartenere le pitture e i graffiti delle grotte di Lèvanzo (nelle isole Egadi) e di Addaura (presso Palermo). Qui le immagini si fanno mosse, agili, con la rappresentazione di episodi più complessi di caccia e di guerra. Compaiono anche figure maschili, còlte in rapidi movimenti, talvolta anzi reciprocamente intrecciate, ottenute con un'incisione sicura che funge, come nel disegno, da linea di contorno [Fig. 12].

12. Figure umane, particolare; tardo paleolìtico. Grotta di Addaura (Palermo).
Il particolare rappresenta probabilmente una danza acrobatica inerente a riti religiosi.

LA PREISTORIA

Nel 1879, in Spagna, presso Santander, mentre il nobile Marcellino de Santuola esplorava, sui Monti Cantàbrici, la grotta di Altamira, cercandovi avanzi preistorici, la sua bambina, che lo accompagnava, alzando gli  occhi verso la volta della bassa caverna, vedeva e indicava al padre le molte immagini di animali (bisonti, cavalli, cervi) dipinte in rosso, nero e ocra che la decoravano. La scoperta rivelò a tutto il mondo l'esistenza di pitture di età preistorica, precedenti di vari millenni quelle già note delle prime civiltà. Anche se, in realtà, altre pitture erano state individuate sporadicamente, questa era la prima volta che si aveva la possibilità di studiare un complesso così vasto e importante da meritare alla grotta il soprannome un po' enfatico di 'Cappella Sistina della preistoria'. Da allora sono state effettuate molte altre scoperte, particolarmente nella zona franco-cantàbrica, ma anche, via via, in altre regioni di quasi tutta l'Europa, in Africa e Asia.
È difficile dare una sistemazione organica a questo vasto materiale: siamo in un periodo preistorico e quindi privo di ogni documentazione o notizia. Pertanto vi sono molte ipotesi e discussioni sia sulle cause che hanno determinato la creazione delle opere, sia sulla loro datazione.
Comunque, nella lunga vita dell'uomo, dalla sua comparsa sulla terra (qualche milione di anni or sono) e dal suo passaggio all'evoluzione culturale (circa 500.000 anni fa), fino a oggi, l'inizio della produzione figurativa è relativamente recente. Lo si fa risalire infatti a non oltre il 40-30.000 a.C. È il periodo detto 'paoleolìtico (dal greco palàios, "antico", e lìthos, "pietra") suoeriore' per distinguerlo dalle età precedenti (il 'paleolìtico inferiore' e il 'paleolìtico medio', tutti compresi nella grande fascia del 'pleistocene' (dal greco pleîstos, "molto" e kainòs, "nuovo"), detto così perché con esso ha inizio l'ultima fase della storia della terra, l'era 'quaternaria' (circa 1.800.000 anni fa). Durante il paleolìtico superiore vive l'homo sapiens fossilis, mentre in quello inferiore e medio vivono i 'paleàntropi' e i 'protoàntropi'. Né possiamo parlare dei periodi ancora precedenti per non appesantire troppo il discorso che deve mirare soprattutto a esaminare il problema dell'arte.
Dal punto di vista figurativo il paleolìtico superiore suole a sua volta essere diviso in tre sottoperiodi, ai quali si dànno definizioni convenzionali derivate dai nomi dei luoghi di alcuni importanti ritrovamenti sul territorio francese: 1. 'aurignaciano' (dalla grotta di Aurignac nell'Haute-Garonne) e 'perigordiano' (dalla regione di Pèrigord); 2. 'solutreano' (da Solutré nel dipartimento di Saòne et Loire); 3. 'maddaleniano' (dalla grotta de La Madaleine a Tursac in Dorgogna).
Dal punto di vista cronologico si riteneva, fino a non molto tempo fa, che le pitture del paleolìtico superiore avessero avuto inizio intorno al 40.000 a.C. e fossero durate fino a circa il 10.000, con una maggior estensione dell''aurignaco-perigordiano' e limitando agli ultimi millenni il 'solutreano'. Oggi le ricerche con il carbonio14 hanno molto ridotto questi termini. Così, se le prime manifestazioni dell'arte rupestre (le pitture sulle pareti delle grotte) hanno inizio forse nel 30.000, in modo molto modesto, la vera arte paleolìtica è riconoscibile solo dopo il 20.000 e culmina intorno al 14.000-13.000, mentre le età solutreana e maddaleniana seguono di poco e spesso si accavallano alla precedente. Si tratta perciò di suddivisioni sommarie, e, talvolta, arbitrarie, da conservare soltanto come schemi molto approssimativi.
Aggiungiamo, infine, per completare il quadro dell'età preistorica, che al paleolìtico superiore (l'antica età della pietra grezza) seguono, sempre tenendo presente l'incertezza di queste divisioni, il 'mesolìtico' (il periodo di mezzo dell'età della pietra) e il 'neolìtico' (la nuova età della pietra levigata).

I. L'evoluzione dell'uomo.