Se è vero che l'arte è sempre in relazione stretta con l'ambiente entro il quale è stata creata, questo è ancora più evidente per i periodi così antichi nei quali il clima aveva particolari e inevitabili conseguenze. Circa 40.000 anni fa, all'inizio del paleolìtico superiore, l'Europa settentrionale era ricoperta dalla zona glaciale. Il vento gelido creava un clima artico, impedendo la vita. Probabilmente il Massiccio Centrale, in Francia, frenava parzialmente l'avanzata glaciale da est, formando a ovest una zona relativamente temperata e consentendo condizioni di vita più accettabili per l'uomo e la fauna nella Francia sud-occidentale e nella penisola iberica. Ciò doveva accadere anche nella penisola italiana, protetta dalle Alpi.
L'uomo preistorico vi trovava perciò una ricca riserva di caccia per il proprio sostentamento. Si deve a questo il primo sorgere della pittura rupestre, dedicata alla rappresentazione di animali per ragioni magiche.
SCULTURE
Fra i più antichi reperti del paleolìtico superiore 'aurignaco-perigordiano' sono varie statuette che hanno per tema la donna. Essa è raffigurata nuda, con la testa e la parte inferiore delle gambe appena accennate [Fig. 1], mentre sono evidenziati il seno, il ventre e i glutei. Apparentemente potrebbero sembrare immagini eseguite da una mano inesperta, guidata da una mentalità inferiore, o, come si suol dire, 'primitiva'. Quando si esamina un'opera figurativa, però, bisogna sempre evitare di giudicarla sommariamente facendo riferimento esclusivo a una sorta di 'modello' mentale, che può essere consueto in alcune epoche, ma in altre no. Bisogna evitare quindi di considerarla ottima solo se riproduce più o meno esattamente la natura. Ogni opera umana nasce all'interno di un certo momento storico-culturale, che ha modi di pensare diversi da quelli di altri momenti. Essa deve essere giudicata pertando sforzandosi di inserirla entro il proprio contesto.
Nel caso specifico di queste 'Veneri' (come sono state definite) l'accentuazione degli attributi femminili più appariscenti non può avere che un significato simbolico e magico. Simbolicamente è l'esaltazione della donna come madre, come creatrice di un nuovo essere umano destinato a perpetuare la specie; è l'esaltazione stupefatta del grande mistero della nascita e della sua importanza per il mondo. Magicamente la raffigurazione della donna in stato interessante deriva dalla credenza che ciò che è rappresentato in immagine sia destinato ad avverarsi, nel bene e nel male; è un auspicio per la realizzazione del proprio desiderio.
Questo spiega perché la testa e la parte inferiore delle gambe, che non hanno relazione apparente con la procreazione, vengono solo accennate. Per lo più i corpi sono allungati e rastremati in alto e in basso, così da dare alla figura una forma affusolata; in qualche altro caso, invece, come nella cosiddetta 'Venere di Willendrof' [Fig. 2], la testa è quasi nascosta dal grande casco di capelli ricciuti.
2. Venere di Willendorf; aurignaco-perigordiano; pietra. Vienna, Naturisches Museum, Sezione Preistorica. La statuetta è detta di Willendorf, perché proviene dall'omonima stazione dell'Austria inferiore a circa 20 km da Krems. Meno affusolata di quella di Savignano, anch'essa mostra, in modo forse ancor più evidente, i segni della maternità. Queste immagini sono comunemente dette 'Veneri' rappresentando non una donna particolare ma 'la donna' come ideale, similmente - fatte le debite differenze ideologiche e stlistiche - a ciò che avverrà nella statuaria greca quando l'ideale femminile impersonato da Venere (la dea della bellezza e dell'amore), sarà cercato attraverso un cànone proporzionale attentamente studiato. |
Entro questa concezione, superati i pregiudizi di imitazione scrupolosa dal vero, possiamo constatare come già esista un criterio estetico che fa appartenere queste opere, al di là della loro funzione magico-simbolica, alla sfera dell'arte, sia pure in una accezione molto distante da quella cui la tradizione occidentale posteriore ci ha abituati: si osservi, per esempio, nella visione laterale di una statuetta [Fig. 3], come siano reciprocamente proporzionate le due parti di massima sporgenza tondeggiante (ventre e glutei), l'una più alta, l'altra più bassa, in posizione lievemente obliqua, in modo da costituire un'unica linea trasversale discendente, rispetto alla verticale del corpo; così come esiste una linea ideale che collega le sporgenze anteriori (ventre, seno, testa) fino a giungere al vertice appuntito, in relazione alla rastremazione opposta, che va dal ventre e dai glutei fino all'angolo acuto appena stondato dell'estremità inferiore.
Oltre alle rappresentazioni della donna (rare invece le figure maschili), le più frequenti sono quelle degli animali per propiziarne magicamente la cattura. La vita dell'uomo preistorico, infatti, è difficile. Il suo sostentamento è dato quasi esclusivamente alla caccia, che lo costringe a continui spostamenti per seguire la selvaggina.
Il suo armamentario è complesso. Dall'amìgdala scheggiata [Fig. 4] del paleolìtco inferiore si è ormai passati, sempre usando la pietra, a un vero e proprio coltello che, allungato e fissato all'estremità di un'asta di legno, costituisce una freccia (o addirittura una lancia), che può essere scagliata violentemente con la mano o mediante un propulsore a uncino.
Questi propulsori venivano ornati, soprattutto nel periodo 'maddaleniano', sfruttando spesso la forma naturale del materiale usato (per lo più corno di renna) e dando loro l'aspetto di un animale: per esempio uno stambecco, la testa di un cavallo, un bisonte. Anche nell'esecuzione di questi strumenti si rivela un'intelligenza ordinatrice, che, pur prendendo spunto dall'aspetto naturale, lo manipola fino a ottenere una nuova forma, spesso elegante. Si veda, per esempio, con quela ricercatezza, approfittando delle divergenze connaturate al corno di renna, l'ignoto artefice ne abbia ricavato [Fig. 5]m accanto alla testa di cavallo più evidente, altre due teste equine.
Oppure si osservi come abbia ottenuto la torsione della testa di un bisonte, conferendo, alla zona più alta e massiccia del corpo, una straordinaria raffinatezza [Fig. 6] mediante le molteplici linee incise che indicano il pelame (ora più lungo, ora più corto) e creando al tempo stesso un morbido movimento chiaroscurale e una vividezza naturale. E dicendo naturale si intende non tanto la riproduzione pedissequa della bestia, ma l'interpretazione di essa.
È anche il caso di un'opera scoperta in un periodo relativamente recente: il toro inciso su una roccia, nel 'Riparo del Romito', presso Papasìdero, un piccolo paese della Calabria. L'incisione di questo toro determina una netta linea di contorno, che individua con chiarezza, con forza, gli elementi fondamentali dell'animale [Fig. 7]. Alcuni tratti aggiuntivi dettagliano altre parti del corpo. Con pochi segni si riesce perciò a rendere il senso della poderosa massa taurina che, anche se rappresenta planetricamente, pare quasi suggerire l'idea del volume.
PITTURE
Accanto a queste opere, che possiamo definire sculture, frequenti, forse ancora più, sono le pitture del paleolìtico superiore, soprattutto nella penisola iberica. Fra le più antiche pitture giunte fino a noi sono le impronte di mani. Possono essere in positivo (ottenute premendo sulla parete la mano intrisa di colore) o, più spesso, in negativo (applicando il colore intorno alla mano appoggiata, o soffiandolo con una canna) [Fig. 8]. Il significato è probabilmente simbolico: indica il possesso della caverna o degli animali, secondo una tradizione antichissima, che dà alla frase 'essere nelle mani' il valore di 'essere in possesso'. Ed è anche possibile che l'idea di dipingere l'impronta della propria mano sia stata suggerita dall'osservazione delle impronte lasciate dai piedi o dalle mani stesse sulla neve o nel fango. Tuttavia c'è un significato più profondo, che investe il problema stesso dell'origine dell'arte. L'impronta dipinta significa che l'uomo ha sempre sentito, unico fra gli esseri viventi, la necessità di lasciare in qualche modo il segno di sé stesso, una traccia, una qualsiasi documentazione della propria presenza, del proprio pensiero. L'opera d'arte nasce dal bisogno umano di esprimersi, di comunicare agli altri sé stesso in maniera duratura, organizzando i segni, dando loro un senso e passando perciò dal 'segno' al 'di-segno'.
8. Mano dipinta in negativo; aurignaco-perigordiano; c. 20.000 a.C. Grotta del Castillo (Santader, Spagna). |
È quello che accade anche nella maggioranza delle pitture rupestri, che hanno, come tema dominante, la raffigurazione degli animali coevi. La scelta di questi temi è dovuta a ragioni magiche: in un'epoca in cui il sostentamento dell'uomo è basato sulla caccia, quando si rappresentano animali, s'intende propiziarne la cattura; nell'atto in cui se ne ferma l'immagine sulla parete, si cerca, magicamente, di anticipare il momento in cui essi diventeranno preda dell'uomo. Non per nulla, in alcuni casi, la bestia è rappresentata colpita da frecce, già ferita a morte [Fig. 9]. È un uso comune delle civiltà più antiche, per esempio l'Egitto. Si trova ancora presso popolazioni primitive attuali che vivono come i nostri antenati di tante migliaia di anni fa. Si dice che i pigmei, prima di muoversi per la caccia, disegnino in terra la sagoma dell'animale che intendono perseguire e poi, allo spuntar del sole, colpiscano l'immagine con frecce, nella credenza che, con quest'atto, l'animale sia destinato a subire la stessa sorte.
Ha questo significato anche l'abitudine superstiziosa degli strati incolti di alcune popolazioni attuali (accade perfino in Italia), di trafiggere con spilli la fotografia di una persona odiata o un fantoccio di stoffa che la simboleggia, come augurio di sventura. In questo caso è la 'fattucchiera' che esegue il sinistro rituale. Così è probabile che allora (almeno inizialmente) fosse lo stregone a dipingere le immagini delle bestie sulle pareti. Nasce la figura dell'artista-mago, mago per le sue facoltà propiziatorie, mago perché riesce a creare dal nulla. Che scopo di queste figurazioni sia l'illusione di ottenere la morte dell'animale cacciato, è provato anche dal fatto che, mentre si trovano rappresentati frequentemente tori, bisonti, mammut, è raro incontrare l'immagine della renna, cosa strana in un'età della quale la renna è l'animale tipico; ciò può venire spiegato soltanto pensando alla facilità con cui essa può essere catturata e quindi all'inutilità di ricorrere a pratiche magiche, come invece si faceva per la caccia di animali ben più pericolosi. Se è innegabile che la nascita dell'arte pittorica preistorica è dovuta a un rituale ben preciso, è anche vero che quelle pitture hanno spesso una loro validità artistica, che le rende godibili in qualsiasi età. Come dicevamo per alcune sculture, il cosiddetto naturalismo di queste pitture deve essere inteso come un modo non tanto di copiare la natura, quanto di renderne evidente l'idea, quanto di renderne evidente l'idea, cosicchè essa venga riconosciuta mediante un processo mentale. Non si vuole dare l'illusione di una presenza reale, ma evocarne il concetto. L'animale è rappresentato con la semplice linea di contorno, senza (o con rari) chiaroscuri, privo di ambientazione, eppure è così vivo. È il caso, per esempio, della celebre mucca che salta al di sopra di alcuni piccoli cavalli [Fig. 10] (dipinti forse in età precedente).
Il senso del moto è reso mediante l'allungarsi orizzontale del corpo, il muso proteso in avanti e le zampe sollevate da terra. Oppure si veda la sintesi con cui è evidenziata la massa potente di un toro [Fig. 11].
Al periodo più tardo del paleolìtico sembrano appartenere le pitture e i graffiti delle grotte di Lèvanzo (nelle isole Egadi) e di Addaura (presso Palermo). Qui le immagini si fanno mosse, agili, con la rappresentazione di episodi più complessi di caccia e di guerra. Compaiono anche figure maschili, còlte in rapidi movimenti, talvolta anzi reciprocamente intrecciate, ottenute con un'incisione sicura che funge, come nel disegno, da linea di contorno [Fig. 12].
12. Figure umane, particolare; tardo paleolìtico. Grotta di Addaura (Palermo). Il particolare rappresenta probabilmente una danza acrobatica inerente a riti religiosi. |
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